Nel post precedente ho scritto due frasi che necessitano di un approfondimento:
Formalmente hanno il fine di salvaguardare gli utenti, vigilando sull'adeguata competenza dei propri iscritti, ma nella realtà gli ordini (notai, farmacisti, avvocati, giornalisti, tanto per citare i più chiacchierati) vengono percepiti come dannose consorterie arroccate in difesa di privilegi non più sopportabili.
Per comprendere come si giustifica questa cattiva reputazione incentrata sull'accusa di parassitismo sociale, basta vedere la quantità di libri che denunciano abusi, malcostumi, inutilità e danni arrecati ai cittadini dagli enti di tutela delle categorie.
L'addebito principale è che anziché vigilare sulla qualità del servizio fornito dagli associati, queste congreghe appaiono come fortini eretti per la difesa a oltranza degli iscritti, a fronte di qualsiasi malefatta compiuta [1].
Si prenda il noto caso dell'agente "Betulla", al secolo Renato Farina, che Enrico Mentana ha comprensibilmente definito un infame. Benché la radiazione dall'ordine (dei giornalisti) fosse una misura ineludibile, la sanzione è arrivata dopo una vergognosa resistenza della commissione disciplinare. E se alla fine l'espulsione c'è stata, in pratica si tratta di un'eccezione legata al clamore mediatico della vicenda. Da qui la convinzione che il principio ispiratore delle commissioni etiche sia: oggi salvo te perché tu nel caso un domani salverai me. Un principio che si concretizza nella "connivenza con chi viola le regole" [2].
Personalmente, l'Ordine di cui ho minore stima è quello degli psicologi, per i quali la scandalosa epidemia di false accuse di molestia sessuale ha in Rignano Flaminio solo l'ultima tragica conferma.
È indiscutibile che se una parte della psicologica e della psicoterapia hanno basi scientifiche, è comunque vero che la disciplina non sa emergere dalla palude della ciarlataneria. Le scuole di psicologia sembrano più numerose degli stessi psicologi, si fondano su teorie tra loro contraddittorie, e talvolta è problematico riuscire a distinguere una pratica scientifica dalle fesserie propinate dal praticone di turno (iscritto all'albo).
È vero che i criteri della scientificità sono di difficile applicazione all'ambito della psiche, ma questo non giustifica la mancanza di un confine netto tra le acquisizioni scientifiche e le fantasie della regressione ipnotica (anche a vite precedenti), delle costellazioni famigliari, di chi attribuisce i disturbi psichici al demonio, o di chi ordina ai propri pazienti (sia vivi che morti) di prostrarsi a terra per baciare un crocefisso e li guarisce invocando gli angeli [3]. Una volta insediatisi all'interno dell'élite corporativa, gli iscritti sono liberi di ricorrere a qualsiasi cialtroneria. Ne consegue che il reato di "esercizio abusivo della professione di psicologo" appare assimilabile all'esercizio abusivo della professione di cartomante, una balordaggine che andrebbe abrogata come avvenne per il "delitto d'onore", perché sottende a un privilegio assurdo: un laureato in psicologia non iscritto all'albo non deve neppure rasentare la pratica psicologia, come per esempio somministrare un semplice test, mentre chi è iscritto può inventarsi le peggiori astrusità e praticarle sugli ignari pazienti.
Un esempio. Appena dopo averlo conosciuto, uno psicologo psicoterapeuta iscritto all'albo mi ha disinvoltamente confidato di usare con i suoi pazienti le puerili tecniche di auditing scaturite dai deliri di L. Ron Hubbard, il fondatore di Scientology. Quando gli ho chiesto se non temeva un provvedimento disciplinare dell'Ordine, ha risposto con una significativa risata.
Alle problematiche intrinseche alla dottrina, si aggiungono quelle proprie dei dottrinanti, non sempre adeguati alla loro incombenza. Benché si scada nell'aneddotica, c'è un episodio che merita di essere raccontato. La madre (anaffettiva) di una bimba di circa un anno, chiacchierando con un'amica le espone un proprio dubbio: per dare un'ora di lezione, nel pomeriggio deve assentarsi brevemente da casa, e teme che al ritorno la figlia non la riconoscerà più [4].
Non intendo addentrarmi nel disagio psichiatrico di quella madre, non è l'oggetto del post. Cito questo penoso caso perché nella carta intestata di quella amletica madre c'è scritto "Dr.ssa *** Psicologo Clinico e di Comunità" ed è regolarmente iscritta all'albo. Dovessi un giorno avere bisogno di un supporto psicologico, temo che l'Ordine non saprebbe preservarmi da una persona mentalmente più disturbata di me.
Anche la dr.ssa Lorita Tinelli e l'Ordine Nazionali degli Psicologi, nella persona del dott. Giuseppe Luigi Palma, hanno dato il loro contributo per alimentare la scarsa stima di cui godono gli ordini professionali. Vediamo cos'è successo.
Nel 2008 la Tinelli invia a una pluralità di destinatari un'e-mail in cui attacca pesantemente una sua collega, la dr.ssa Raffaella Di Marzio, con accuse molto gravi:
A questo punto entra in scena il Presidente Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, dr. Giuseppe Luigi Palma, coinvolto nella vicenda dalla Tinelli la quale in quella stessa lettera scrive:
La situazione era delineata con chiarezza: o che il dott. Palma aveva davvero fatto quell'accusa, oppure la Tinelli se l'era inventata.
Il primo caso appare improbabile. Non si comprende perché, tra le centinaia di migliaia di psicologi esistenti in Italia, il presidente dell'ordine avrebbe dovuto formulare quell'accusa verso una persona di cui probabilmente ignorava persino l'esistenza. Ma anche in quel caso c'è un aspetto importante da rilevare: parlando privatamente, chiunque è libero di commentare con un amico che una ex-valletta è una mignotta portata in parlamento per "meriti orali" (o che "questa signora" - come la Tinelli definisce la dr.ssa Di Marzio - fa abuso della professione); è poi chi riporta pubblicamente questo giudizio in un'e-mail indirizzata a varie associazioni con 11 destinatari a commettere il reato di diffamazione.
Per quanto riguarda la Tinelli invece, la sua ostilità verso la Di Marzio non è certo un segreto. Un'ostilità che la induce - come rivela la Tinelli stessa nella lettera - a non perdere occasione per screditare la Di Marzio (nel caso in questione con don L. Minuti, estraneo alla vicenda). In buona sostanza è la Tinelli che inviando l'e-mail a svariate associazioni rende pubblica quell'accusa infondata e quindi ingiuriosa. Ma torniamo ai fatti.
Nel novembre 2008 viene inviata all'Ordine la raccomandata con la richiesta di chiarimenti, che sortirà due effetti:
La Di Marzio attende inutilmente alcuni mesi, e il 2 marzo 2009 invia all'Ordine una seconda lettera con la richiesta di conoscere il numero di protocollo assegnato alla prima, mostrando così che non si intende lasciare cadere la questione nel dimenticatoio. Una conclusione che si direbbe inimmaginabile per un ente il cui autogoverno si esprime in adempimenti che vedono al primo posto il controllo deontologico degli iscritti, i quali sono tenuti a uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale (art. 38 del codice deontologico).
Questa volta il sollecito sortisce il risultato dovuto: è solo dopo l'invio della seconda raccomandata, che la prima lettera viene protocollata (n° 957/09) e il 30 marzo viene inviata la risposta:
La scortesia della risposta lascia perplessi. La Di Marzio non è una lavandaia ma una laureata (anzi, plurilaureata) e come tale l'educazione impone di usare la qualifica di "dottoressa" - come usa per la Tinelli - e non "Signora", esattamente come Palma si firma "Dott."
Comunque, come c'era da aspettarsi, la risposta ufficiale dell'Ordine degli Psicologi sbugiarda la dr.ssa Lorita Tinelli la quale, leggiamo nella risposta dell'Ordine, ha "completamente estrapolata - con conseguente travisamento del significato suo proprio -" una frase che esprimeva tutt'altro. Un travisamento certificato ufficialmente dall'Ordine degli Psicologi, il quale evidenzia come la Tinelli ha trasformando una considerazione lapalissiana ("se prestazioni proprie dello Psicologo fossero effettuate da soggetto non iscritto all'Albo, si sarebbe ecc.") in una grave accusa del tutto infondata.
Da questa storia la Tinelli ne esce male, ma l'Ordine degli Psicologi non se la cava meglio. Non fosse stata per la determinazione della persona ingiuriata, benché si fosse di fronte a una grave scorrettezza di una propria iscritta, tutto lascia pensare che l'ordine avrebbe cercato di eludere la vicenda. E quando è poi stato messo alle strette, ha inviato un comunicato dal tono sgradevole che non accenna neppure vagamente a un eventuale provvedimento disciplinare, o almeno a delle scuse, per un "travisamento" che presenta profili di interesse penale, a conferma di quella "connivenza con chi viola le regole" vista in precedenza.
Le critiche da muovere all'Ordine degli Psicologi non finiscono qui, stiamo anzi per arrivare al peggio.
Per riabilitare la propria reputazione dalla maldicenza della dr.ssa Lorita Tinelli, la Di Marzio pubblicò sul suo blog un post dove spiegava la questione, ovviamente riportando la frase che smentisce la presidente del CeSAP. A quel punto l'Ordine mostrò la sua utilità sociale: il dott. Luigi Palma, "nella qualità di Presidente dell'Ordine degli Psicologi", inviò una diffida intimando alla Di Marzio la rimozione della smentita. Il motivo addotto si stenta a crederlo: "la nota di cui in oggetto" che "da alcuni giorni risulta pubblicata in estratto" è da considerarsi "riservata", per cui se ne chiede l'eliminazione in base "alla vigente normativa sulla Privacy". Siamo al mondo che gira all'incontrario.
La "nota in oggetto", non è una lettera privata del sig. Luigi Palma, bensì una comunicazione ufficiale di un Ordine Professionale (prot. n° 1231/09), ossia un ente pubblico posto sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia. La lettera è quindi un atto pubblico. Appellarsi alla privacy è del tutto insensato e l'intimazione del Presidente dell'Ordine degli Psicologi (prot. n° 1939/09) ha la stessa peculiarità della dichiarazione del segretario della Lega Nord Matteo Salvini, secondo cui la proposta del "ministro di colore" Cecile Kyenge di dare la nazionalità italiana ai ragazzi nati in Italia "istiga a delinquere".
Ma la questione primaria è un'altra: il Presidente Nazionale dell'Ordine impedisce alla persona che è chiamato a tutelare di difendersi, proibendole di far conoscere la verità in merito alla propria onorabilità colpevolmente danneggiata da un iscritto all'ordine che presiede, e nello stesso tempo sostiene fattivamente il danneggiatore che ha commesso una scorrettezza sanzionata persino dal codice penale. Un arbitrio che ha il volto della protervia esercitata su un cittadino-suddito.
Era doveroso adottare un provvedimento disciplinare per chi ha violato le norme del buon senso prima ancora che la deontologia, ed era civile esprimere le proprie scuse. L'ordine avrebbe per lo meno dovuto imporre una smentita a chi ha diffamato coinvolgendo persino l'istituto della Presidenza Nazionale. Non è stato fatto niente di tutto questo, ma esattamente l'opposto. Con un'argomentazione pateticamente insensata, l'Ordine degli Psicologi ha mostrato come intende salvaguardare gli utenti e vigilare sulla liceità dell'operato dei propri iscritti.
Dopo questa bella dimostrazione, torniamo alla pratica della psicologia in generale. Oltre ai problemi visti in precedenza, ne presenta un altro che è peculiare della disciplina: l'indeterminatezza della figura di psicologo. È una fumosità contro cui persino la normativa vigente si è arresa. L'articolo del codice penale che proibisce l'esercizio abusivo della professione (348) è una cosiddetta norma penale in bianco, ossia stabilisce la sanzione ma demanda ad altra normativa la formulazione del precetto. Nel caso specifico il legislatore ha delegato la questione agli stessi psicologi incaricati di redigere la legge istitutiva della professione di psicologo (la 56 dell'89). Solo che anche questi non risolvono nulla. Per stabilire cos'è la psicologia (art. 1) si ricorre all'aggettivo psicologico: "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti [...] in ambito psicologico", recita l'articolo con una avvilente tautologia [5]. Quindi, si sono introdotte delle pene per chi invade le competenze di una professione, di cui gli operatori stessi non sono in grado di delimitare i confini di queste competenze neppure a grandi linee.
Abbiamo così una casta che esercita un'attività terapeutica svincolata dai riscontri scientifici, e di cui nessuno riesce ad individuare gli "atti tipici", ossia le pratiche che identificano la professione, senza una chiara distinzione tra cos'è psicologia e cosa non lo è. Un obbrobrio giuridico in uno stato di diritto.
Questa vaghezza comporta una situazione asimmetrica, in cui un'élite di privilegiati viene inopinatamente dotata di un'arma - il reato di abuso di professione - di cui possono abusare indisturbatamente qualora intendano mettere in atto una ritorsione per motivi personali. È in questa ottica che viene spontaneo interpretare, per esempio, la denuncia per abuso della professione presentata della presidente del CeSAP Lorita Tinelli a carico di una persona a lei invisa, per dei fatti che in tribunale sono risultati inesistenti. Una denuncia che ha costretto, senza fondamento alcuno, una persona ad affrontare gli affanni e i costi di un processo. Dall'altro lato, una volta appurata la totale infondatezza delle sue accuse, la Tinelli non ha ricevuto nemmeno un banale rimprovero. Perché la politica degli ordini sembra essere quella di sorvolare su qualsiasi cosa quando il responsabile è un "amico", alla faccia dello scopo dichiarato di proteggere i cittadini.
Gli Ordini sono "élite che proteggono soprattutto i loro iscritti." [6] L'importante è fare fronte comune contro i nemici, che in nome delle odiate liberalizzazioni, assediano il fortino dei loro privilegi. Nessuno deve interferire [7].
Benché siano "ritenuti inefficienti, autoreferenziali, miopi, fautori di privilegi anacronistici, conniventi con chi viola le regole, poco cristallini nella gestione degli affari, costosi, protettori di monopoli, duri con i deboli, deboli con i duri" [8] nessuno deve scalfirne il potere.
Amen.
NOTE:
1) "Che dire della deontologia: non ho mai visto radiare un ingegnere che ha costruito un grattacielo sulla sabbia." Giuseppe Tesauro, nel 2004 Presidente Antitrust.
2) Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.
3) Per quest'ultimo specifico caso l'ordine ha avviato una procedura disciplinare, ma solo dopo che "Le iene" hanno sollevato il caso a livello mediatico, lasciando che questa psicologa praticasse indisturbata i suoi incantesimi per anni.
4) Se è scema come la madre, potrebbe anche essere, verrebbe da commentare.
5) "La psicologia è materia sfuggente. E' sfuggente perché già l'articolo 1 della Legge 56 dell'89, che istituisce la professione di Psicologo, dice: "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione e riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali ed alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione e ricerca didattica in tale ambito". Questo articolo non contempla atti tipici. [] Per l'attività dello psicologo non c'è un atto tipico. Non solo, ma nella definizione della legge stessa voi vi accorgerete che per definire l'attività della psicologia si utilizza l'aggettivo psicologico. Il che già significa non spiegare assolutamente nulla." (dall'arringa del PM, dott. Bretone, del "processo Arkeon")
6)Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.
7) Guai al legislatore che tenta di aprire all'odiata concorrenza, un sostantivo che presso gli ordini è considerato un anatema. Il Presidente dell'Ordine dr. Luigi Palma insorse con un proclama che paventava sventure bibliche, contro una legge che, a suo dire, disegnava "di fatto un sistema interamente ed esclusivamente fondato sull’autoreferenzialità e sull’autocertificazione". Inutile ricordare al bellicoso dott. Palma che autoreferenzialità e autocertificazione sono proprio i peccati originali della professione di psicologo, che non riesce neppure a determinare il proprio ambito di competenza.
8) Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.
- "serve l'ingenuità fiduciosa di un bambino per credere che un Ordine professionale sia interessato alla deontologia";
- "una norma penale di dubbia moralità e fondamento giuridico, dato che tutela degli anacronistici privilegi di casta" (riferito al reato di abuso della professione di psicologo).
Formalmente hanno il fine di salvaguardare gli utenti, vigilando sull'adeguata competenza dei propri iscritti, ma nella realtà gli ordini (notai, farmacisti, avvocati, giornalisti, tanto per citare i più chiacchierati) vengono percepiti come dannose consorterie arroccate in difesa di privilegi non più sopportabili.
Per comprendere come si giustifica questa cattiva reputazione incentrata sull'accusa di parassitismo sociale, basta vedere la quantità di libri che denunciano abusi, malcostumi, inutilità e danni arrecati ai cittadini dagli enti di tutela delle categorie.
L'addebito principale è che anziché vigilare sulla qualità del servizio fornito dagli associati, queste congreghe appaiono come fortini eretti per la difesa a oltranza degli iscritti, a fronte di qualsiasi malefatta compiuta [1].
Si prenda il noto caso dell'agente "Betulla", al secolo Renato Farina, che Enrico Mentana ha comprensibilmente definito un infame. Benché la radiazione dall'ordine (dei giornalisti) fosse una misura ineludibile, la sanzione è arrivata dopo una vergognosa resistenza della commissione disciplinare. E se alla fine l'espulsione c'è stata, in pratica si tratta di un'eccezione legata al clamore mediatico della vicenda. Da qui la convinzione che il principio ispiratore delle commissioni etiche sia: oggi salvo te perché tu nel caso un domani salverai me. Un principio che si concretizza nella "connivenza con chi viola le regole" [2].
Personalmente, l'Ordine di cui ho minore stima è quello degli psicologi, per i quali la scandalosa epidemia di false accuse di molestia sessuale ha in Rignano Flaminio solo l'ultima tragica conferma.
È indiscutibile che se una parte della psicologica e della psicoterapia hanno basi scientifiche, è comunque vero che la disciplina non sa emergere dalla palude della ciarlataneria. Le scuole di psicologia sembrano più numerose degli stessi psicologi, si fondano su teorie tra loro contraddittorie, e talvolta è problematico riuscire a distinguere una pratica scientifica dalle fesserie propinate dal praticone di turno (iscritto all'albo).
È vero che i criteri della scientificità sono di difficile applicazione all'ambito della psiche, ma questo non giustifica la mancanza di un confine netto tra le acquisizioni scientifiche e le fantasie della regressione ipnotica (anche a vite precedenti), delle costellazioni famigliari, di chi attribuisce i disturbi psichici al demonio, o di chi ordina ai propri pazienti (sia vivi che morti) di prostrarsi a terra per baciare un crocefisso e li guarisce invocando gli angeli [3]. Una volta insediatisi all'interno dell'élite corporativa, gli iscritti sono liberi di ricorrere a qualsiasi cialtroneria. Ne consegue che il reato di "esercizio abusivo della professione di psicologo" appare assimilabile all'esercizio abusivo della professione di cartomante, una balordaggine che andrebbe abrogata come avvenne per il "delitto d'onore", perché sottende a un privilegio assurdo: un laureato in psicologia non iscritto all'albo non deve neppure rasentare la pratica psicologia, come per esempio somministrare un semplice test, mentre chi è iscritto può inventarsi le peggiori astrusità e praticarle sugli ignari pazienti.
Un esempio. Appena dopo averlo conosciuto, uno psicologo psicoterapeuta iscritto all'albo mi ha disinvoltamente confidato di usare con i suoi pazienti le puerili tecniche di auditing scaturite dai deliri di L. Ron Hubbard, il fondatore di Scientology. Quando gli ho chiesto se non temeva un provvedimento disciplinare dell'Ordine, ha risposto con una significativa risata.
Alle problematiche intrinseche alla dottrina, si aggiungono quelle proprie dei dottrinanti, non sempre adeguati alla loro incombenza. Benché si scada nell'aneddotica, c'è un episodio che merita di essere raccontato. La madre (anaffettiva) di una bimba di circa un anno, chiacchierando con un'amica le espone un proprio dubbio: per dare un'ora di lezione, nel pomeriggio deve assentarsi brevemente da casa, e teme che al ritorno la figlia non la riconoscerà più [4].
Non intendo addentrarmi nel disagio psichiatrico di quella madre, non è l'oggetto del post. Cito questo penoso caso perché nella carta intestata di quella amletica madre c'è scritto "Dr.ssa *** Psicologo Clinico e di Comunità" ed è regolarmente iscritta all'albo. Dovessi un giorno avere bisogno di un supporto psicologico, temo che l'Ordine non saprebbe preservarmi da una persona mentalmente più disturbata di me.
Anche la dr.ssa Lorita Tinelli e l'Ordine Nazionali degli Psicologi, nella persona del dott. Giuseppe Luigi Palma, hanno dato il loro contributo per alimentare la scarsa stima di cui godono gli ordini professionali. Vediamo cos'è successo.
Nel 2008 la Tinelli invia a una pluralità di destinatari un'e-mail in cui attacca pesantemente una sua collega, la dr.ssa Raffaella Di Marzio, con accuse molto gravi:
- l'aver "intimidito delle vittime" di una psico-setta;
- essere l'autrice di una campagna denigratoria;
- avere esercitato abusivamente la professione di psicologo.
- l'e-mail viene pubblicata in Internet;
- la Tinelli conferma a diverse persone di esserne l'autrice.
A questo punto entra in scena il Presidente Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, dr. Giuseppe Luigi Palma, coinvolto nella vicenda dalla Tinelli la quale in quella stessa lettera scrive:
"il Presidente dell'Ordine degli Psicologi dichiara che questa signora stia facendo abuso della professione"Trattandosi di una falsità, da un punto di vista giuridico questo può configurare la diffamazione, ma non tutti stanno col dito sul grilletto pronti a sparare querele (vedi per esempio la decina di cause, tutte intentate dalla dr.ssa Lorita Tinelli contro la stessa persona e tutte dichiarate insussistenti). Più saggiamente la Di Marzio invia una lettere all'Ordine degli Psicologi, per sapere se quanto sostenuto nell'e-mail corrispondeva al vero e, in quel caso, su quali basi il Presidente dell'Ordine muoveva quella accusa (che comporta fino a sei mesi di reclusione).
La situazione era delineata con chiarezza: o che il dott. Palma aveva davvero fatto quell'accusa, oppure la Tinelli se l'era inventata.
Il primo caso appare improbabile. Non si comprende perché, tra le centinaia di migliaia di psicologi esistenti in Italia, il presidente dell'ordine avrebbe dovuto formulare quell'accusa verso una persona di cui probabilmente ignorava persino l'esistenza. Ma anche in quel caso c'è un aspetto importante da rilevare: parlando privatamente, chiunque è libero di commentare con un amico che una ex-valletta è una mignotta portata in parlamento per "meriti orali" (o che "questa signora" - come la Tinelli definisce la dr.ssa Di Marzio - fa abuso della professione); è poi chi riporta pubblicamente questo giudizio in un'e-mail indirizzata a varie associazioni con 11 destinatari a commettere il reato di diffamazione.
Per quanto riguarda la Tinelli invece, la sua ostilità verso la Di Marzio non è certo un segreto. Un'ostilità che la induce - come rivela la Tinelli stessa nella lettera - a non perdere occasione per screditare la Di Marzio (nel caso in questione con don L. Minuti, estraneo alla vicenda). In buona sostanza è la Tinelli che inviando l'e-mail a svariate associazioni rende pubblica quell'accusa infondata e quindi ingiuriosa. Ma torniamo ai fatti.
Nel novembre 2008 viene inviata all'Ordine la raccomandata con la richiesta di chiarimenti, che sortirà due effetti:
- un silenzio tombale dell'Ordine degli Psicologi, alquanto inopportuno data l'oggettiva gravità dei fatti segnalati;
- una ricostruzione dei fatti, proposta dalla Tinelli, piuttosto bizzarra, che in una intervista dichiara: "Mi hanno anche diffamata presso i miei contatti professionali e presso l’Ordine degli Psicologi".
La Di Marzio attende inutilmente alcuni mesi, e il 2 marzo 2009 invia all'Ordine una seconda lettera con la richiesta di conoscere il numero di protocollo assegnato alla prima, mostrando così che non si intende lasciare cadere la questione nel dimenticatoio. Una conclusione che si direbbe inimmaginabile per un ente il cui autogoverno si esprime in adempimenti che vedono al primo posto il controllo deontologico degli iscritti, i quali sono tenuti a uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale (art. 38 del codice deontologico).
Questa volta il sollecito sortisce il risultato dovuto: è solo dopo l'invio della seconda raccomandata, che la prima lettera viene protocollata (n° 957/09) e il 30 marzo viene inviata la risposta:
La scortesia della risposta lascia perplessi. La Di Marzio non è una lavandaia ma una laureata (anzi, plurilaureata) e come tale l'educazione impone di usare la qualifica di "dottoressa" - come usa per la Tinelli - e non "Signora", esattamente come Palma si firma "Dott."
Comunque, come c'era da aspettarsi, la risposta ufficiale dell'Ordine degli Psicologi sbugiarda la dr.ssa Lorita Tinelli la quale, leggiamo nella risposta dell'Ordine, ha "completamente estrapolata - con conseguente travisamento del significato suo proprio -" una frase che esprimeva tutt'altro. Un travisamento certificato ufficialmente dall'Ordine degli Psicologi, il quale evidenzia come la Tinelli ha trasformando una considerazione lapalissiana ("se prestazioni proprie dello Psicologo fossero effettuate da soggetto non iscritto all'Albo, si sarebbe ecc.") in una grave accusa del tutto infondata.
Da questa storia la Tinelli ne esce male, ma l'Ordine degli Psicologi non se la cava meglio. Non fosse stata per la determinazione della persona ingiuriata, benché si fosse di fronte a una grave scorrettezza di una propria iscritta, tutto lascia pensare che l'ordine avrebbe cercato di eludere la vicenda. E quando è poi stato messo alle strette, ha inviato un comunicato dal tono sgradevole che non accenna neppure vagamente a un eventuale provvedimento disciplinare, o almeno a delle scuse, per un "travisamento" che presenta profili di interesse penale, a conferma di quella "connivenza con chi viola le regole" vista in precedenza.
Le critiche da muovere all'Ordine degli Psicologi non finiscono qui, stiamo anzi per arrivare al peggio.
Per riabilitare la propria reputazione dalla maldicenza della dr.ssa Lorita Tinelli, la Di Marzio pubblicò sul suo blog un post dove spiegava la questione, ovviamente riportando la frase che smentisce la presidente del CeSAP. A quel punto l'Ordine mostrò la sua utilità sociale: il dott. Luigi Palma, "nella qualità di Presidente dell'Ordine degli Psicologi", inviò una diffida intimando alla Di Marzio la rimozione della smentita. Il motivo addotto si stenta a crederlo: "la nota di cui in oggetto" che "da alcuni giorni risulta pubblicata in estratto" è da considerarsi "riservata", per cui se ne chiede l'eliminazione in base "alla vigente normativa sulla Privacy". Siamo al mondo che gira all'incontrario.
La "nota in oggetto", non è una lettera privata del sig. Luigi Palma, bensì una comunicazione ufficiale di un Ordine Professionale (prot. n° 1231/09), ossia un ente pubblico posto sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia. La lettera è quindi un atto pubblico. Appellarsi alla privacy è del tutto insensato e l'intimazione del Presidente dell'Ordine degli Psicologi (prot. n° 1939/09) ha la stessa peculiarità della dichiarazione del segretario della Lega Nord Matteo Salvini, secondo cui la proposta del "ministro di colore" Cecile Kyenge di dare la nazionalità italiana ai ragazzi nati in Italia "istiga a delinquere".
Ma la questione primaria è un'altra: il Presidente Nazionale dell'Ordine impedisce alla persona che è chiamato a tutelare di difendersi, proibendole di far conoscere la verità in merito alla propria onorabilità colpevolmente danneggiata da un iscritto all'ordine che presiede, e nello stesso tempo sostiene fattivamente il danneggiatore che ha commesso una scorrettezza sanzionata persino dal codice penale. Un arbitrio che ha il volto della protervia esercitata su un cittadino-suddito.
Era doveroso adottare un provvedimento disciplinare per chi ha violato le norme del buon senso prima ancora che la deontologia, ed era civile esprimere le proprie scuse. L'ordine avrebbe per lo meno dovuto imporre una smentita a chi ha diffamato coinvolgendo persino l'istituto della Presidenza Nazionale. Non è stato fatto niente di tutto questo, ma esattamente l'opposto. Con un'argomentazione pateticamente insensata, l'Ordine degli Psicologi ha mostrato come intende salvaguardare gli utenti e vigilare sulla liceità dell'operato dei propri iscritti.
Dopo questa bella dimostrazione, torniamo alla pratica della psicologia in generale. Oltre ai problemi visti in precedenza, ne presenta un altro che è peculiare della disciplina: l'indeterminatezza della figura di psicologo. È una fumosità contro cui persino la normativa vigente si è arresa. L'articolo del codice penale che proibisce l'esercizio abusivo della professione (348) è una cosiddetta norma penale in bianco, ossia stabilisce la sanzione ma demanda ad altra normativa la formulazione del precetto. Nel caso specifico il legislatore ha delegato la questione agli stessi psicologi incaricati di redigere la legge istitutiva della professione di psicologo (la 56 dell'89). Solo che anche questi non risolvono nulla. Per stabilire cos'è la psicologia (art. 1) si ricorre all'aggettivo psicologico: "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti [...] in ambito psicologico", recita l'articolo con una avvilente tautologia [5]. Quindi, si sono introdotte delle pene per chi invade le competenze di una professione, di cui gli operatori stessi non sono in grado di delimitare i confini di queste competenze neppure a grandi linee.
Abbiamo così una casta che esercita un'attività terapeutica svincolata dai riscontri scientifici, e di cui nessuno riesce ad individuare gli "atti tipici", ossia le pratiche che identificano la professione, senza una chiara distinzione tra cos'è psicologia e cosa non lo è. Un obbrobrio giuridico in uno stato di diritto.
Questa vaghezza comporta una situazione asimmetrica, in cui un'élite di privilegiati viene inopinatamente dotata di un'arma - il reato di abuso di professione - di cui possono abusare indisturbatamente qualora intendano mettere in atto una ritorsione per motivi personali. È in questa ottica che viene spontaneo interpretare, per esempio, la denuncia per abuso della professione presentata della presidente del CeSAP Lorita Tinelli a carico di una persona a lei invisa, per dei fatti che in tribunale sono risultati inesistenti. Una denuncia che ha costretto, senza fondamento alcuno, una persona ad affrontare gli affanni e i costi di un processo. Dall'altro lato, una volta appurata la totale infondatezza delle sue accuse, la Tinelli non ha ricevuto nemmeno un banale rimprovero. Perché la politica degli ordini sembra essere quella di sorvolare su qualsiasi cosa quando il responsabile è un "amico", alla faccia dello scopo dichiarato di proteggere i cittadini.
Gli Ordini sono "élite che proteggono soprattutto i loro iscritti." [6] L'importante è fare fronte comune contro i nemici, che in nome delle odiate liberalizzazioni, assediano il fortino dei loro privilegi. Nessuno deve interferire [7].
Benché siano "ritenuti inefficienti, autoreferenziali, miopi, fautori di privilegi anacronistici, conniventi con chi viola le regole, poco cristallini nella gestione degli affari, costosi, protettori di monopoli, duri con i deboli, deboli con i duri" [8] nessuno deve scalfirne il potere.
Amen.
NOTE:
1) "Che dire della deontologia: non ho mai visto radiare un ingegnere che ha costruito un grattacielo sulla sabbia." Giuseppe Tesauro, nel 2004 Presidente Antitrust.
2) Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.
3) Per quest'ultimo specifico caso l'ordine ha avviato una procedura disciplinare, ma solo dopo che "Le iene" hanno sollevato il caso a livello mediatico, lasciando che questa psicologa praticasse indisturbata i suoi incantesimi per anni.
4) Se è scema come la madre, potrebbe anche essere, verrebbe da commentare.
5) "La psicologia è materia sfuggente. E' sfuggente perché già l'articolo 1 della Legge 56 dell'89, che istituisce la professione di Psicologo, dice: "La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione e riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali ed alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione e ricerca didattica in tale ambito". Questo articolo non contempla atti tipici. [] Per l'attività dello psicologo non c'è un atto tipico. Non solo, ma nella definizione della legge stessa voi vi accorgerete che per definire l'attività della psicologia si utilizza l'aggettivo psicologico. Il che già significa non spiegare assolutamente nulla." (dall'arringa del PM, dott. Bretone, del "processo Arkeon")
6)Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.
7) Guai al legislatore che tenta di aprire all'odiata concorrenza, un sostantivo che presso gli ordini è considerato un anatema. Il Presidente dell'Ordine dr. Luigi Palma insorse con un proclama che paventava sventure bibliche, contro una legge che, a suo dire, disegnava "di fatto un sistema interamente ed esclusivamente fondato sull’autoreferenzialità e sull’autocertificazione". Inutile ricordare al bellicoso dott. Palma che autoreferenzialità e autocertificazione sono proprio i peccati originali della professione di psicologo, che non riesce neppure a determinare il proprio ambito di competenza.
8) Stefanoni F., I veri intoccabili, Chiarelettere, 2012, pag. 6.