venerdì 8 gennaio 2016

Alberto Laggia condannato per plagio

Condannati anche Maria Pia Gardini e le Edizioni Paoline

La sentenza con cui il Tribunale di Roma (IX sez. civile) in ottobre 2014 ha condannato il giornalista Alberto Laggia, le Edizioni Paoline e l'esponente dell'ARIS (Ass. Ricerca e Informazione sulle Sette) Maria Pia Gardini, ha messo fine a un contenzioso iniziato oltre cinque anni fa e che in questo blog è stato descritto nel post Le Paoline accusate di plagio.

Riassumo sinteticamente la questione: la curatrice del sito web Allarme Scientology (Simonetta Po alias "Martini"), lamentava che un intero capitolo del libro Il coraggio di parlare era stato copiato dal suo sito senza citare né l'autore della traduzione né la fonte. Per l'autore del libro A. Laggia, per la (non credibile) curatrice M. Pia Gardini e per le Edizioni Paoline, l'accusa era quindi di plagio (art. 65 l. 633/41). Un'accusa che sotto l'aspetto lessicale presenta un lato ironico: gli eroici difensori delle vittime del plagio, sono stati riconosciuti responsabili di plagio (con sentenza passata in giudicato).

La conclusione che possiamo trarre dalla sentenza di condanna non è oggetto del presente post, dato che ci ha pensato il Tribunale a certificare la moralità di questi paladini nell'esercizio della loro italianità. Qui ci soffermeremo su alcuni retroscena divertenti, cominciando da come la notizia si diffuse.

Benché "Martini"/Simonetta Po avesse tenuto, contro il suo stesso interesse, un completo riserbo sull'incresciosa questione, a renderla pubblica ci pensò la Gardini, che aveva invece tutto l'interesse che la notizia rimanesse riservata, dato che l'accusa e quindi l'ombra del discredito ricadeva su di lei (e su Laggia). Mossa da ragioni incomprensibili al normale buon senso (1), la Gardini ne parlò su un forum di ex scientologi (forum che venne chiuso poco dopo dal gestore, stante il pericolo di denunce per diffamazione).

Ma se la ratio con cui agì la Gardini era imperscrutabile, perfettamente comprensibili erano invece i suoi toni offensivi, a cui si unirono i dileggi dei suoi accoliti, tra i quali primeggiò l'innominabile piagnone (che ora sul news-group dedicato a Scientology sostituisce la Gardini nel ruolo di megafono del CeSAP).

La sentenza che ha riconosciuto le ragioni di Simonetta Po, ha stabilito che tutto quanto scritto dall'esponente dell'ARIS in quello sgradevole post erano menzogne (e faceva pure l'indignata). Il che non costituisce una sorpresa: come illustrato nei post intitolati Intervista a Maria P. Gardini, l'esponente di maggior rilievo delle associazioni antisette italiane - elevate dalla Squadra Anti Sette della Polizia al ruolo di suoi consulenti - non si faceva scrupolo di raccontare cose non vere in interviste e persino in audizione in Senato.

In considerazione di questa peculiarità della Gardini, la Po scelse - secondo la testimonianza di un famigliare - di non rendere pubblica la vicenda, perché convinta che la responsabile del pasticcio, più precisamente del reato, con tutta probabilità doveva essere la sola M. Pia Gardini, e che Laggia non poteva che esserne all'oscuro (2).

Oltre che per la disinvoltura della Gardini a compiere scelte poco oculate (3), la convinzione della Po pare si fondasse anche sul fatto che dava per scontata la correttezza professionale delle Edizioni Paoline nonché di Laggia, essendo difficile che un giornalista professionista scenda così in basso da adottare una soluzione tanto stupida (4).

Simonetta Po era quindi fiduciosa che il semplice dialogo sarebbe bastato a risolvere una violazione che per la sua evidenza nessuno avrebbe potuto negare, il che avrebbe evitato a Laggia e alla casa editrice il discredito derivante dal coinvolgimento in un'accusa di plagio. Venne quindi inviata una lettera all'editore, per informarlo della situazione.

Al fine di mostrare che la questione veniva presa seriamente, la lettera venne spedita da un avvocato, ma anziché contenere una formale diffida (come insisteva l'avvocato) si limitava a segnalare "talune inesattezze relative al volume da Voi pubblicato" (come insistette la Po), senza accenni ad eventuali azioni legali, in modo che fosse evidente che l'iniziativa era esente da animosità e si limitava a informare chi, del plagio, veniva considerato all'oscuro.

Un noto aforisma di Andreotti afferma che a pensare male della gente si fa peccato ma in genere ci si azzecca. La caparbia propensione della Po a pensare bene della gente dimostra che non si fa peccato, però le persone di moralità cagionevole ti prendono per fesso e se ne approfittano. Quell'approccio della Po così benevolo, ottenne infatti questi due risultati: l'offensivo post della Gardini di cui si parlava prima, e la seguente replica delle Paoline:
In risposta a tale addebito Vi informiamo che l'autore del testo, Alberto Laggia, dichiara di aver personalmente provveduto alla traduzione ...

Una replica che, pare di capire, secondo le Paoline chiudeva la diatriba.

Ora che conosciamo il finale della storia, sappiamo che Alberto Laggia era in malafede e al suo editore ha dichiarato il falso. Una condotta inattesa da parte di un giornalista che prima avremmo considerato una persona perbene, ma il punto non è questo. La risposta sorprese per, diciamo così, l'inadeguata diligenza con cui le Paoline presero in esame la segnalazione dell'illecito. Detto più semplicemente, per la sfrontatezza della risposta, con cui si mostrava di non avere alcuna intenzione di approfondire la questione per verificare se l'accusa di plagio era fondata.

Come viene qui dimostrato, che il libro riportasse un "copia-incolla" di un testo tradotto e pubblicato anni prima da Simonetta Po, sarebbe risultato evidente anche a un analfabeta. Inoltre, per spiegare l'esistenza di quelle che, con una buona dose di impertinenza, vengono definite "eventuali coincidenze" tra le due versioni, viene usato un argomento che testimonia, nel migliore dei casi, una monumentale incompetenza riguardo al mestiere del traduttore (l'alternativa è la malafede). Ecco la spiegazione proposta dalle Edizioni Paoline:
[riteniamo] che le eventuali coincidenze nella traduzione siano del tutto casuali. Sottolineiamo a tal proposito che, essendo il testo non passibile di cambiamenti - in quanto appunto dichiarazione giurata - e trattandosi di un testo piuttosto tecnico e non certo letterario, è abbastanza difficile che qualsiasi traduzione si allontani di molto da quella fatta a suo tempo dalla signora Simonetta Po.

Si tratta dello stesso argomento usato dalla Gardini nel suo fastidioso post, e questo ci dà la misura della sua (ir)ragionevolezza. Che si tratti di una giustificazione insensata viene dimostrato qui, dove a mo' di esempio viene esaminato il primo paragrafo di due diverse edizioni di un libro di Scientology, che per sua natura è altrettanto "tecnico" e ancor meno "passibile di cambiamenti". Poiché una traduzione è sempre il risultato della capacità espressiva e dello stile espositivo del traduttore, due traduttori non produrranno mai due testi sovrapponibili.

La giustificazione delle Paoline è talmente ottusa da apparire quasi canzonatoria, il che non depone a favore della casa editrice. Ma in tema di affermazioni avventate, oltre a quelle dell'editore ci sono anche quelle dell'autore, Alberto Laggia.

Il caso ha voluto che, poco prima dell'uscita del libro, Laggia avesse mostrato che di inglese non sapeva niente - quando si dice la sfortuna - proprio a Simonetta Po: durante un convegno sul settarismo tenutosi a Pisa, Laggia aveva chiesto alla Po di fargli da interprete per intervistare un delegato russo. È quindi piuttosto insolente rispondere alla persona a cui aveva mostrato di non conoscere la lingua inglese, di avere "personalmente provveduto alla traduzione" di un testo così impegnativo come una dichiarazione giurata "non passibile di cambiamenti" (ma tutt'altro che tecnico, dato che è il resoconto delle esperienze vissute in Scientology da un ex-adepto). Una traduzione che, per di più, veniva stampata da un editore da cui ci si attende un prodotto quantomeno dignitoso.

Come ogni altro cittadino, è ovvio che anche Laggia ha il diritto di dare la risposta che gli pare, anche una irridente, ma è altrettanto ovvio che quella risposta lo qualifica poi per quello che è (come ha certificato il Tribunale).

Collegata a questa non conoscenza dell'inglese da parte di Laggia, c'è un aneddoto tipico della Gardini. Scrive la Gardini nel suo increscioso post, che Simonetta Po "sa che sia io che Alberto laggia conosciamo bene l'inglese". Ebbene: per quanto riguarda la Gardini, lei era così capace nelle traduzioni da rendere il vocabolo boatos (voci di corridoio, indiscrezioni) con l'italiano "boati"; mentre per quanto riguarda Laggia, la Gardini era presente a quel convegno ed è sicuro che sapeva che la Po aveva fatto da interprete a Laggia (5). Per incredibile che possa sembrare a noi plebei, che diversamente dalla Gardini non conduciamo una vita "da rotocalco rosa" all'interno del "rutilante jet-set", per la Gardini questo dimostra che Simonetta Po "sa" che Laggia conosce "bene" l'inglese.

Come si è detto in precedenza, prima di ricevere la risposta delle Paoline, Simonetta Po supponeva che Laggia avesse lasciato che della traduzione se ne occupasse la Gardini, e che questa gli avesse rifilato un testo abusivamente copiato dal sito Allarme Scientology, ma a questo punto lo scenario era cambiato: se Laggia fosse stato estraneo alla vicenda, di fronte alla gravità (per un giornalista rispettabile) di un'accusa di plagio, si sarebbe precipitato a spiegare che non conoscendo l'inglese, lui con la traduzione non c'entrava niente, e di chiedere chiarimenti alla Gardini. Invece rilasciò alla casa editrice una dichiarazione ancora più compromettente di quella scritta dalla Gardini, che nel suo post affermava invece "Abbiamo tradotto" (6).

Il che conferma quanto scritto dalle Paoline nella loro risposta, là dove fanno presente che in merito a Laggia la "professionalità, onestà e correttezza non sono in discussione".


Una professionalità, onestà e correttezza che ora nessuno metterà più in discussione, essendo evidente che sono quelle di chi, con protervia, mente anche dopo che il misfatto è stato scoperto. Un misfatto compiuto a scopo di lucro. Piccoli consiglieri regionali crescono.

Depennato anche Alberto Laggia, rimanevano ancora in campo le Edizioni Paoline (più precisamente le Paoline Editoriali Libri dell'Istituto Pia Società Figlie di San Paolo), nonché l'ostinazione di Simonetta Po a pensare bene del prossimo. Venne quindi cercato un contatto all'interno della casa editrice a cui mostrare le prove che, nonostante le assicurazioni ricevute dal loro autore, di motivi per mettere in dubbio quanto da lui riferito ce n'erano eccome. Trovato questo contatto, venne inviata una seconda lettera, questa volta in forma privata, per informare della:
[...] disponibilità a esporre i motivi che hanno indotto *** a contestare un caso di plagio nel libro in oggetto.

La mia disponibilità a illustrare i motivi di tale contestazione voleva essere un atto di cortesia verso una casa editrice che gode fama di rispettabilità, al fine così di risparmiarle il disagio e l’imbarazzo causato da un eventuale riconoscimento delle accuse.

Iniziò a quel punto un dialogo tra la responsabile dell'ufficio diritti e un famigliare della Po, che si occupò al suo posto della faccenda. Un dialogo consistito in varie conversazioni telefoniche e l'invio di documentazione tramite e-mail, conclusosi un mese dopo, quando fu la stessa responsabile a informare di non avere più argomenti per ribattere all'accusa di plagio, e di avere inoltrato la pratica all'ufficio legale.

Alla buonora; qualcuno che si è degnato di visionare la documentazione e prende atto di ciò che è evidente. Mi riferisco alla responsabile dell'ufficio diritti, perché non mi sentirei di dire la stessa cosa delle Paoline Editoriale Libri dell'Istituto Pia Società ecc., ma andiamo per ordine.

A questo punto inizia uno scambio di lettere tra gli avvocati delle due parti, che dopo un incomprensibile tergiversare durato mesi, si conclude quando le Edizioni Paoline fanno una proposta strana e insidiosa. La stranezza stava nella proposta di risarcimento, 2.000 euro, un importo interessante in una transazione amichevole, mentre l'insidiosità stava nella caparbietà della casa editrice che si ostinava "a ribadire l'estraneità del sig. Alberto Laggia e della signora Maria Pia Gardini ai fatti che ci imputate".


L'accettazione di questa proposta avrebbe significato che, insieme ai 2.000 euro, Simonetta Po riconosceva che a Laggia e alla Gardini non era imputabile alcunché, e di conseguenza non avevano compiuto alcun plagio. Firmando la relativa liberatoria, la Po avrebbe quindi ammesso di ricevere dei soldi senza giustificato motivo.

A quel punto, le Paoline sarebbero diventate le vittime di un sopruso, costrette a pagare pur di liberarsi di un molestatore, e Simonetta Po sarebbe moralmente diventata la responsabile di una estorsione. Non la si direbbe un'offerta ispirata ai quei valori cristiani che, in quanto "Figlie di San Paolo" e costituite in una "Pia" società, ci si immagina orientino il loro agire.

Tra l'altro, che le Paoline non fossero poi così sicure della "estraneità del sig. Alberto Laggia", lo si evince dalla successiva proposta che è incompatibile con l'affermazione di "estraneità". Le Paoline avevano infatti offerto la loro:
disponibilità all'inserimento nei libri in giacenza di un'indicazione relativa alle fonti cui Alberto Laggia avrebbe tratto ispirazione

La fumosità di quel "tratto ispirazione" è un capolavoro da sofista gesuita, ma vista la pervicacia con cui negavano che Laggia e la Gardini avessero usato la traduzione di Simonetta Po, che senso avrebbe avuto inserirvi "un'indicazione relativa alle fonti", che in sostanza è un'ammissione che di scopiazzatura si tratta? A chi andava attribuita la responsabilità del plagio, a Babbo Natale?

Come che sia, benché le motivazioni fossero incomprensibili, era comunque evidente che anche le Edizioni Paoline si erano arroccate in una tignosa difesa dell'indifendibile Laggia, il quale con la dichiarazione di avere fatto lui stesso una traduzione che non poteva aver fatto, si era arroccato in difesa della Gardini (la quale sosteneva invece che la traduzione era un'opera congiunta sua e di Laggia, scaricando così sul suo compare metà della responsabilità). Si tenga presente che al momento del loro out-out, le Paoline non si basavano unicamente sulle assicurazioni - in malafede - di Laggia e della Gardini, ma disponevano già da mesi di tutta la documentazione che dimostrava l'incontestabilità del plagio.

A questo punto, venne lasciata ai posteri la soluzione dei misteri gloriosi della Pia Società Figlie di San Paolo e, in considerazione dell'atteggiamento sdegnoso tenuto dalle Paoline, a cui sommare l'insolente dichiarazione di Alberto Laggia, a cui sommare l'offensivo post della Gardini, procedere per vie legali era per Simonetta Po una scelta innaturale ma ineludibile.

Inizia così nel 2011 l'imperscrutabile liturgia processuale, con i suoi bizantinismi e le sue regole misteriche, di cui conosciamo già la conclusione, per cui ora spenderemo qualche parola in merito alle memorie difensive degli imputati, al fine di riportare alcune spigolature. Si tratta di curiosità che hanno il merito di dare ragione al proliferare di barzellette sugli avvocati che, a differenza di quelle sui Carabinieri, tutto sommato bonarie (7), denotano un certo risentimento verso una categoria spesso percepita in termini poco lusinghieri.

La prima pensata divertente ce la regala l'avvocato della Gardini, il quale nella memoria difensiva da lui firmata sostiene una tesi che non mancherà di stupire: a compiere un reato non è stata la sua assistita, ossia la Gardini, ma nientemeno che Simonetta Po. L'aver tradotto e pubblicato la dichiarazione giurata oggetto del contendere, spiega argutamente il giurista, costituisce violazione della legge sulla privacy (se si fosse accertato che era frutto di un reato, l'opera della Po non è tutelabile dal diritto d'autore).


Certo, non è che l'avvocato della Gardini disponesse di molti argomenti a cui fare ricorso, ma anche così in pochi riusciranno a non ridere. Si consideri che da una (sommaria) ricerca con Google, risulta che il testo è pubblicato (in inglese o in traduzione) su almeno 25 siti web. Ma che si tratti di una tesi bislacca lo conferma involontariamente proprio il suo collega delle Paoline, il quale nella memoria difensiva depositata un mese prima, ricorda che il testo in esame è un atto pubblico. Che sfortuna.


Ciò che lascia maggiormente perplessi è che, per cercare di dimostrare l'innocenza della sua assistita, il difensore della Gardini tentò di far mettere sul banco degli imputati proprio chi aveva subito il torto, accusando la persona derubata di un reato inesistente. E già che c'era, richiese pure 10.000 euro come "risarcimento del danno". Fa pensare ai soprusi di epoca medievale, quando il creditore che chiedeva giustizia veniva incarcerato perché il debitore apparteneva all'aristocrazia.

Ma sulla torta della violazione della privacy per la pubblicazione di un atto pubblico, non poteva mancare la più classica delle ciliegine: il complotto. Nella memoria difensiva successiva, l'avvocato della Gardini prova a tratteggiare uno scenario da romanzo giallo, definendo la causa legale promossa da Simonetta Po "una mal riuscita trappola, ordita per futili motivi".


Quale fine avesse la mal riuscita trappola "ordita" dalla Po non viene spiegato, ma per stare nel sicuro il brillante giurista la accusa di essere in "malafede", che detto dalla sponda Gardini fa pensare a Lorita Tinelli che definisce "tipologie non sempre in grande equilibrio" i partecipanti ai seminari di Arkeon.


Per quanto riguarda Laggia, anche la sua difesa farà ricorso a quest'ultima accusa di malafede. Però con una differenza: provenendo da chi ha dato prova di quell'integrità morale vista in precedenza, può permettersi di enfatizzare l'accusa con l'aggettivo "totale" ("l'attrice è in totale malafede").


Per accusare Simonetta Po di malafede dopo che aveva dichiarato "di aver personalmente provveduto alla traduzione", ad Alberto Laggia deve essere servito un bel coraggio.

Così come quella della Gardini, anche la memoria difensiva di Laggia contiene, oltre all'indignata accusa di disonestà, una pensata divertente. Per "dimostrare la totale infondatezza" del fatto che Laggia avesse scopiazzato dal sito Allarme Scientology, viene fatto il seguente ragionamento:
  1. poiché all'epoca della contestazione del plagio "non v'era alcuna menzione relativa al copyright […] che ora "stranamente" appare in ogni pagina" (vero) 
  2. e poiché "non v'era neppure alcuna nota, presente oggi, che invitava il navigatore/lettore a contribuire, con delle donazioni" (vero anche questo)
ciò dimostrerebbe che Simonetta Po:
vuole artatamente fornire in questa sede un panorama distorto, completamente diverso da quello che esisteva al momento della redazione del libro!
Sarebbe come dire: dato che la banana è gialla e che lo zucchero è dolce, ne consegue che i lombrichi volano. Il tutto in grassetto e con la veemenza del punto esclamativo finale. Si tratta di un ragionamento talmente strampalato che non possiamo nemmeno parlare di paralogismo ("Il treno fischia, Mario fischia, ergo Mario è un treno", tanto per citare l'esempio classico). E non è possibile neppure invocare la giustificazione adottata in precedenza per il suo collega, relativo alla mancanza di argomenti decenti a cui appigliarsi: l'enfasi data dal grassetto e dal punto esclamativo finale, fa pensare alla compiaciuta soddisfazione di chi è convinto di aver scovato l'argomentazione decisiva.

Per quanto riguarda invece l'avverbio "stranamente" riferito alla comparsa dell'avvertenza sul copyright (messo tra virgolette per denotare ironia), non saprei invece dire quanta convinzione vi fosse. Di certo anche il più ottuso troverebbe naturale che, dopo l'ennesimo saccheggio del proprio lavoro ad opera dei fulgidi antisette, per di più compiuto a fini di lucro, Simonetta Po abbia pensato che la misura era colma ed era ora di ricordare che esiste la legge sul diritto d'autore. Viene da concludere che per Laggia sia strano che, dopo l'ennesimo furto, il derubato cerchi di cautelarsi per evitare ulteriori ruberie.

Ma vediamo quali conseguenze ha, per la difesa di Laggia, il balzano ragionamento che abbiamo appena visto. La conclusione che Laggia ne fa discendere è che "si disconosce la conformità all'originale delle copie fotostatiche delle pagine asseritamente estratte dal sito". Il fatto che Simonetta Po abbia aggiunto nel suo sito l'avviso relativo al copyright e l'invito a fare una piccola donazione, dimostrerebbe che le coincidenze tra il testo pubblicato sul sito e quello pubblicato sul libro sono dovute a una manomissione della documentazione prodotta in tribunale. In sostanza Laggia sta accusando Simonetta Po di essere una truffatrice. Dovevamo vedere pure questa.

È un'accusa che il Tribunale non ha nemmeno preso in considerazione. A comprovare la fedeltà del materiale cartaceo prodotto nell'atto di citazione, c'è un sito istituzionale che periodicamente "fotografa" i siti Internet. Si potrebbe opinare che non tutti possono saperlo, e che Alberto Laggia abbia detto una sciocchezza per ignoranza, se non fosse che nella documentazione depositata in tribunale si fa esplicita menzione di questo sito, se ne spiega la funzione e vengono indicati tutti gli indirizzi (URL) delle pagine di "Allarme Scientology" scopiazzate sul libro. A questo punto non è più ignoranza, e provenendo da chi ha davvero mentito dopo avere rubato il lavoro altrui, serve una buona dose di spudoratezza per dare del truffatore al derubato che ha dimostrato di presentare una documentazione corretta. ("La cui professionalità, onestà e correttezza non sono in discussione".)

La memoria difensiva di Laggia è una miniera di sorprese. In un altro punto, della "traduzione in esame" si sostiene che "si tratta palesemente e incontestabilmente di una traduzione "rudimentale", contenente svariati errori e per larga parte frutto di un utilizzo di traduttori automatici".


La libertà di opinione consente a tutti di esprimere il proprio giudizio, anche se è un'opinione da sprovveduti, ma certa gente andrebbe difesa da sé stessa, perché si tratta di un'affermazione insensata e autolesionistica. Per prima cosa vediamo perché è insensata.

La traduzione di Simonetta Po venne pubblicata nel 2001, per cui scordiamoci il traduttore di Google, che produce risultati accettabili ma apparirà solo sei anno dopo, nel 2007. Nel 2001 era disponibile Babel Fish di Altavista (ora non più attivo). Di questo traduttore ne parla Umberto Eco nel suo libro "Dire quasi la stessa cosa" (Bompiani) del 2003. Eco mostra divertito i risultati abnormi restituiti da Babel Fish di cui riporta, tra gli altri, il seguente esempio di traduzione dall'inglese all'italiano: Speaker of the chamber of deputies, che significa Presidente della Camera dei Deputati, viene reso con Altoparlante dell'alloggio dei delegati (altri esempi qui). In sostanza, se ancora oggi per fare un lavoro decente è necessario un traduttore umano, nei primi anni 2000 era oggettivamente impossibile ottenere un testo comprensibile usando un traduttore automatico. Ne consegue che Laggia probabilmente non sa di cosa parla e certamente dice una stupidaggine.

Però la questione principale è un'altra: la traduzione di Simonetta Po e quella pubblicata da Laggia sono identiche, per cui se quella della Po fosse davvero una traduzione "rudimentale", "contenente svariati errori", ottenuta con "traduttori automatici" (dell'epoca), lo sarebbe anche quella pubblicata da Laggia nel suo libro. Ma se pubblicare una traduzione tanto scadente sarebbe un peccato veniale per chi gestisce un sito web gratuito, diventa una truffa per chi, con tale ciarpame, riempie l'intero capitolo di un libro a pagamento.

Quell'ultima affermazione lascia intravedere un altro grave fatto indicativo della "professionalità, onestà e correttezza" di Alberto Laggia. Testimonia infatti - "palesemente e incontestabilmente" - che l'autore è convinto di avere rifilato ai lettori, al prezzo di 16 euro, un pastrocchio "rudimentale", "contenente svariati errori" e tradotto con un traduttore automatico. Quando si dice il rispetto per il consumatore. Comunque, un tale discredito per l'onorabilità di Laggia è contenuto nella sua memoria difensiva, che prima di essere depositata in tribunale avrà ricevuto il suo benestare (almeno questa è la prassi consueta), per cui contento lui contenti tutti.

Vediamo un'altra frase che, parafrasando Laggia (8), evidenzia "l'equità con cui Laggia ha incardinato la sua difesa": "si rileva che le somme indicate in citazione a titolo di risarcimento appaiono totalmente fantasiose e sproporzionate."


Come risarcimento la Po aveva chiesto 2.000 euro. Dato che il tribunale ha sostanzialmente accolto il valore indicato (oltre 1.800 euro), sono solo le argomentazioni difensive di Laggia che restano "totalmente fantasiose", il quale non si era fatto scrupolo di chiedere a sua volta un risarcimento, pur sapendo di essere colpevole del reato ascritto (9), e dopo essere arrivato ad accusare la controparte di aver falsificato la documentazione depositata in tribunale. Sì, le Paoline Editoriali Libri avevano ragione quando hanno scritto che, in merito ad Alberto Laggia, giornalista di Famiglia Cristiana, il livello di "professionalità, onestà e correttezza non sono in discussione".

Anche le memorie difensive delle Paoline offrirebbero altri spunti come quelli appena visti, ma ormai abbiamo capito la solfa, per cui riporto solo la richiesta che "Martini" venisse condannata a pagare un risarcimento per il "discredito creato all'editore" con l'accusa di plagio.


Che dire? Se non altro le Paoline sono consapevoli del danno causato alla loro reputazione dal loro autore. Un danno che, come abbiamo visto all'inizio, Simonetta Po cercò di evitare. E cercò di evitarlo anche dopo aver ricevuto una risposta sdegnosa alla sua prima lettera.

In chiusura di questo florilegio di pensate divertenti, rimane da riportare la più inattesa di tutte: lo sconforto di un Laggia amaramente deluso. Attenzione però: non amareggiato per la sentenza che lo ha condannato, come potrebbe venire naturale ipotizzare, bensì per il comportamento delle ingrate Paoline, che lo avrebbero usato come capro espiatorio per poi lasciarlo solo. Questo perché - su richiesta della casa editrice - il giudice ha stabilito che le Paoline potessero rivalersi su Laggia e sulla Gardini in merito alla somma con cui risarcire la vittima della loro ruberia. Solo che, scomparsa la Gardini - portabandiera del Forum degli anti-sette - l'intero onere del risarcimento è ricaduto su Laggia, il quale si è ritrovato a dover pagare da solo il risarcimento a Simonetta Po.

A questo proposito va rilevato che la richiesta delle Paoline era pienamente legittima: Laggia consegnò all'editore le bozze "unitamente alle liberatorie", e sempre in quell'occasione "è stata assicurata all'editore [...] la fedele riproduzione curata personalmente dagli autori". In sostanza, Laggia garantì all'editore che il suo era tutto materiale veritiero e soprattutto legittimo. Ma oltre a questa documentazione, che è una formalità di routine, quando il plagio era già stato scoperto Laggia rilasciò all'editore una dichiarazione - "aver personalmente provveduto alla traduzione" - che sul piano logico è incomprensibile, ma soprattutto mendace. È quindi giusto che la responsabilità di questa squallida vicenda ricada su di lui.

Qualcuno penserà che Laggia è un tipo strano, ma apparirà ancora più strano se si legge la conclusione dell'ultima lettera delle Paoline spedita nella fase pre-processuale, quando le due parti erano in cerca di un accordo:
Facciamo altresì rilevare che gli autori, che con noi sottoscrivono la presente, ci hanno espressamente diffidato dal proporre accordi sulla vicenda.

Maria Pia Gardini   -    Alberto Laggia   -    Paoline Editoriale Libri

Poiché qualsiasi commento deturperebbe questa spettacolare diffida di Laggia affinché il suo editore non firmasse accordi con la controparte, concludo segnalando che, a seguito della sentenza di condanna, l'editore ha cancellato il libro dal proprio catalogo (10), ma posso rassicurare coloro che desiderano informarsi su Scientology: non hanno perso niente. Come mostrato in questo post, si trattava di un'operazione editoriale poco rispettosa del lettore-cliente, che al prezzo di 16 euro forniva testimonianze da anni già disponibili in Internet gratuitamente. Un'operazione editoriale che tuttavia è costata all'editore una perdita di oltre 15 mila euro (11), (a cui sommare le spese processuali). Rattrista vedere che una somma così importante è stata usata per consentire a Maria Pia Gardini di mostrare un libro con in copertina il proprio nome. Che bravi gli antisette radicali.

Va infine aggiunto che anche il precedente libro di A. Laggia & Gardini, "I miei anni in Scientology" è stato messo fuori catalogo, e sul sito delle Paoline ora Laggia è un autore sconosciuto:




Postilla

Chi segue questo blog si sarà accorto che con la disamina della relazione di Alessandrini sto palesemente traccheggiando. Ciò è dovuto al fatto che quando scrivo in merito al Brunetta degli italici antisette, poi la notte mi sogno La Russa. Un'esperienza inquietante; ma ormai sto esaurendo i pretesti che mi consentono di tergiversare.


Note:

1) Quali che siano questi incomprensibili motivi che indussero la Gardini a rendere pubblico ciò che per lei era più conveniente rimanesse riservato, potrebbero essere non estranei i motivi che indussero sua madre a chiedere al tribunale l'interdizione della figlia all'epoca quarantaquattrenne.

2) Il gestore di Allarme Scientology ipotizzò che la Gardini si fosse impegnata a tradurre dall'inglese l'affidavit che doveva costituire un capitolo del libro Il coraggio di parlare, e che anziché tradurlo l'avesse più sbrigativamente copiato dal suo sito, dove era stata pubblicato otto anni prima.

3) "da alcuni anni mostra un sempre più marcato e progressivo scadimento dei poteri inibitori e di controllo delle proprie azioni" (Richiesta di interdizione, pag. 1)

4) A conferma del fatto che si trattò di un espediente davvero poco intelligente, c'è il fatto che poco dopo la pubblicazione del libro, "Martini" ricevette varie segnalazioni del plagio. Un plagio di cui, tra l'altro, il gestore di Allarme Scientology si era già accorta; e non poteva essere diversamente, dal momento che è ovvio che chi gestisce quel tipo di sito è interessato a qualsiasi materiale inerente la multinazionale di L. Ron Hubbard.

5) Su quanto la Gardini conoscesse "bene" l'inglese, può essere indicativo il fatto che, benché con Laggia fossero amici, questi chiese alla Po di fargli da interprete nonostante non avesse mai avuto alcun contatto in precedenza con il gestore di Allarme Scientology..

6) Personalmente ritengo che, non fidandosi di chi traduce "boatos" con "boati", Laggia avesse ritenuto meglio provvedere lui stesso alla traduzione, per cui in qualità di giornalista deve aver pensato che scopiazzare un testo è più rapido (ed economico) che pagare un traduttore professionista, mentre in qualità di antisette fare uno sgarbo a Simonetta Po è sempre una gran bella soddisfazione.

7) Il mio "fornitore" di barzellette sui Carabinieri è un amico carabiniere, il quale ritiene che nella realtà le barzellette sui Carabinieri siano due o tre in tutto: il resto sono fatti veri.

8) "la malafede con la quale l'attrice ha incardinato la presente causa"

9) Punito penalmente con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (art. 171-ter legge 633/41).

10) Dopo che il Tribunale ha ordinato di inserire nei libri in giacenza e nelle ristampe una "menzione del nome dell'attrice quale traduttrice dell'opera e della fonte da cui la traduzione è stata tratta", le Paoline hanno eliminato il volume dal loro catalogo. L'impressione è che abbiano preferito rinunciare a delle vendite mandando al macero i libri in giacenza, piuttosto che dare soddisfazione alla Po.

11) Per la precisione, il prospetto di tiratura depositato in tribunale dall'editore indicava per gli anni 2009, 2010, 2011 una perdita di 15.994,40 euro.